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A spasso per Riga

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Di Riga ti ricordi il sole splendente e le prime gemme che fanno capolino sui rami degli alberi. Ti ricordi una passeggiata nel parco intorno al centro, e la statua gigante di una scimmia vestita da astronauta. Ti ricordi i palazzi di panna montata di Ėjzenštejn contro il cielo azzurro. Ti ricordi l’Orso che cammina al tuo fianco, così vicino che ti basterebbe allungare una mano per toccarlo – e invece non vi sfiorate nemmeno. La sua voce che ti accarezza i timpani, le sue risate e le tue. Ti ricordi un giro al mercato, un mercato che ti fa pensare ad altri mercati che avevi visitato in altri paesi ex sovietici – ed è come se camminassi su un reticolo di tracce invisibili che solcano il mondo, e tu non dovessi fare altro che seguirle per andare dove vuoi. Ti ricordi i cosiddetti Tre Fratelli, una casa tutta bianca divisa in tre parti nel centro di Riga. Tu e l’Orso siete davanti alla casa, stavolta il lato sinistro del suo corpo aderisce al tuo lato destro, guardate la casa senza guardarvi l’un l’altro, secondo me nella casa centrale ci stava il fratello più ricco, che faceva il figo davanti agli altri fratelli, ti dice l’Orso, sì, e invece nella casa di destra ci stava il fratello di mezzo, era lui ad essere il più ricco una volta, ma poi si è giocato tutto alle carte, gli dici, è vero, invece il fratello che stava nella casa di destra non era tanto ricco ma se ne sbatteva le palle, fumava e beveva e faceva festa con gli amici tutto il giorno, ti dice lui, cazzo, dici tu, quelle feste devono essere state proprio belle, peccato non esserci stati! Ma lui ti ha rassicurata subito, non ti preoccupare, Bri, che stasera troviamo qualcosa di bello da fare lo stesso.

Di Riga ti ricordi le centinaia di shottini di un amaro locale al mirtillo – l’Orso beve birra, tanto la bidra da birra ce l’ha già; tu invece ne fai volentieri a meno e allora ti scassi di shottini, in culo alla gastrite. Ti ricordi le chiacchiere e le risate sul divano fino alle cinque del mattino, uno shottino dopo l’altro, una poesia di Brecht letta a due voci – lui in tedesco e tu in italiano, i suoni delle due voci e delle due lingue che si sovrappongono e si intrecciano. Sul momento ti sembra romantico, non ti sfiora neanche l’idea che lui stia solo prendendo tempo, che stia evitando di trovarsi nel letto con te.

Di Riga ti ricordi la tristezza che aleggia e si insinua ovunque, una tristezza talmente pervasiva e appiccicosa che vi fa ridere – nessuno sorride mai, sono tutti così seri. Poche cazzate, siamo lettoni, li prende in giro l’Orso, ghignando sotto i baffi; te la ridi anche tu.

Poi però andate al museo e non ridete più, lì tutte le persecuzioni e deportazioni e occupazioni sopportate dai lettoni vi sfilano davanti agli occhi. Voi la storia la sapevate già prima, ma un conto è saperla e un conto è percepirla, ed è solo qui nel museo che queste tragedie diventano solide, reali, come se solo adesso poteste toccarle. Quando uscite dal museo la città intera vi sembra diversa, ora la tristezza la sentite nella pancia, quella tristezza che ha impregnato ogni mattone, ogni sanpietrino. Anche i sogni di panna montata di Ėjzenštejn si sono infranti contro una vecchiaia di povertà e solitudine, contro il disprezzo e l’abbandono di un figlio fanatico che considerava il padre un lurido borghese nemico del popolo.

E poi ti ricordi il balcone della vostra stanza, sul quale fumate guardando una grigia periferia sovietica sotto un cielo grigio stillante umidità; ti ricordi una corsa notturna in taxi sotto la pioggia battente; ti ricordi l’Orso alla continua ricerca di alcol. E poi la vostra camera, al buio, tu e l’Orso distesi nel letto, un silenzio che pesa come un macigno. Lui non parla e i fantasmi del tuo passato si risvegliano urlando, è evidente che non ti desidera, Brigida, tu non ti meriti attenzione e desiderio. E poi lui ti abbraccia e ti dice che ha paura delle conseguenze, ha paura di ferirti, e tu ti chiedi cosa cazzo vuol dire, cosa cazzo c’entra adesso? Mi hai già ferita, ma invece non chiedi niente, rimani in silenzio, e ancora non sai quante frasi del genere usciranno dalla bocca dell’Orso nei mesi a venire, e quante volte tu vorrai chiedergli cosa cazzo vuol dire ma invece stai zitta. Ti ricordi il gelo che piano piano si insinua tra voi – continuate a chiacchierare discutere ridere ma quel maledetto gelo è lì, tu fai finta di non vederlo e ti sforzi di pensare che alla fine l’Orso al tuo fianco, se allunghi la mano puoi toccarlo anche se non lo fai, e allora niente può andare storto, giusto? Ma tutto è già andato storto, sei tu che non vuoi vederlo.

E poi ti ricordi la stazione di Riga, un edificio grigio e squadrato. Un cielo basso color grigio piombo  vi incombe sulla testa; fumate l’ultima sigaretta sulla spianata di cemento grigio davanti alla stazione. Pensi che questo sia proprio il colore adatto per questo addio – che poi non lo sai se sia davvero un addio, o solo un arrivederci. Sapete che dovete dirvi qualcosa, vi escono solo spezzoni di frasi confuse. Quando la sigaretta è finita lui ferma un taxi, carica la valigia nel baule, ti dà qualche bacetto asciutto sulle labbra e ti abbraccia forte, quasi a tradimento, e poi sale sul taxi senza guardarsi indietro.

Qualche ora dopo sei all’aeroporto, seduta davanti all’imbarco. La tua testa è un’accozzaglia di gelo e poesia, di cieli blu e nuvoloni grigi. È come se negli ultimi due giorni fossi salita su, fino alla luna, e poi fossi precipitata giù al suolo, battendo forte il culo.

Il 23 agosto 1989 due milioni di persone si sono prese per mano e hanno formato una catena umana lunga seicento chilometri attraverso Estonia, Lettonia e Lituania. Protestavano pacificamente contro l’occupazione sovietica. Si tenevano per mano e sorridevano, come se tutta la tristezza della Storia fosse solo una coltre di polvere, che si può scuotere via per sorridere al futuro.

Aprono il cancello d’imbarco. Ti alzi e ti scuoti anche tu, scegli di scuotere via la pioggia e il freddo, scegli di tenere solo l’azzurro e la luce e le risate.

E questa è una pessima idea, ma in questo momento non puoi saperlo.

 

 

 

17 pensieri riguardo “A spasso per Riga

  1. Che bel post, l’ho letto tutto d’un fiato! Io mi sto preparando al prossimo weekend proprio in quel di Riga e ho appena scritto in cerca di consigli! Intanto complimenti per il titolo del tuo blog e a presto! 🙂

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  2. Premesso che, secondo me, WordPress mi fa apparire nel feed sempre i soliti blog e mai il tuo o altri super fighi, mi scuso per l’enorme fuso orario con cui giungo a leggere questo tuo post. Bello, ben scritto… mi piace così tanto leggere i tuoi racconti. Poi salta fuori Riga, che stavo prendendo in considerazione per le ferie estive, coincidenza? I don’t think so 🙂 Buona serata Jena Brigida! – Maria

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    1. Grazie!!! 🙂
      Non ignorare le coincidenze…ne vale davvero la pena! Io poi sono stata solo a Riga e in un paesino sulla costa, ma tutti i paesi baltici mi affascinano un sacco – la luce, le pinete, la patina di tristezza e l’eleganza delle città…se decidi di andare fammi sapere che giro hai fatto, e che impressioni hai avuto! 🙂

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    1. Ciao, grazie! 🙂 Io sono andata a inizio aprile, e faceva freddino – un po’ tipo fine inverno qui da noi, non troppo freddo, al sole si sta bene, ma comunque col cappotto. Secondo me a fine aprile si sta già benino! Ma con vestiti caldi in valigia, che non si sa mai 🙂
      Fai un buon viaggio!

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